A Chinguetti, antica città carovaniera nell’odierna Mauritania, esistono ben sedici biblioteche, piene zeppe di manoscritti antichi e di opere a stampa fino all’800.
Se taluni compositori americani minimalisti come La Monte Young o Terry Riley, Philip Glass o Steve Reich avessero eletto un luogo geografico come fonte d’ispirazione, certamente avrebbero scelto il deserto, con le sue minime e infinite variazioni paragonabili, dunque, alle singole cellule melodico ritmiche di questa musica che irretì più d’una generazione di ascoltatori. Il deserto è ipnotico, e separarsene risulta difficile anche per uno straniero. Ed è proprio questa particolare categoria umana che ha fatto dell’erranza una vocazione o una necessità, ad esserne conquistata, talora perfino risucchiata. La letteratura di viaggio ne è costantemente una prova tangibile, in special modo quella al femminile che ha rivelato fin dagli inizi del XX secolo una sorprendente presenza di donne viaggiatrici lungo le vie carovaniere d’Asia e d’Africa. Lasciamo la capitale costiera della Mauritania, Nouakchott che prima della sua recente fondazione (1959), era poco più di un accampamento di nomadi, in viaggio verso la regione interna dell’Adrar, cuore del Sahara mauritano, per raggiungere, infine, l’antica città carovaniera di Chinguetti. È un percorso lungo e accidentato di quasi cinquecento chilometri, su strade asfaltate e piste di terra battuta. L’anziano autista, esperto del territorio e vestito in classici abiti beduini, ha una guida veloce e sicura. Fermo nel suo sguardo austero ma anche capace qualche volta di sorridere. Per cinque volte al giorno, ovunque si trovi, distende il tappeto sulla terra e comincia a pregare con assoluta devozione. A Nouakchott incontriamo Mohamed Amara, persona affabile e attenta, al quale spieghiamo il nostro progetto, ovvero la realizzazione di un film sulle biblioteche del deserto, sui suoi fedeli conservatori e restauratori. Si tratta di un patrimonio tanto raro e sconosciuto in Occidente quanto inestimabile, ma altresì fortemente soggetto alla corrosione del tempo. Il film, gli spieghiamo, s’intitolerà Libri di sabbia, sebbene il chiaro riferimento a Jorge Luis Borges, non trovi alcun riscontro nella natura del progetto. Lui ne è subito entusiasta. Lo lusinga il fatto che, da presidente dell’associazione dei Sindaci delle antiche città, possa contribuire a dare un nuovo impulso alla conoscenza di tale tesoro di saggezza al di fuori del continente africano. Ci parla inoltre del Giardino d’infanzia, una scuola materna creata dall’associazione Giovanni Lorenzin che ospita fino a 400 bambini nomadi e che è un suo vanto. Accettiamo così la sua ospitalità a Chinguetti. Al nostro arrivo, infatti, troviamo Tourad, il custode, ad attenderci.
L’incontro con questa città, fondata nel 1264 nel cuore del Sahara, ha in sé qualcosa di meraviglioso. Abbagliati dal colore della sabbia, di un giallo intenso quasi rosso e dall’effetto cromatico degli abiti tradizionali femminili di un azzurro carico a cui fanno da contraltare i colori delle case, «colori senza mezza tinta, senza ironia » come scriveva Pier Paolo Pasolini in una poesia dal titolo Guinea, 1964, pallidi per via della polvere e del vento che solleva la sabbia in piccoli e grandi cumuli piramidali, giungiamo nel luogo di congiunzione tra la città vecchia e quella nuova, (non si creda che quest’ultima si distingua di molto dalla prima), ossia uno wadi, grande letto di sabbia, attraversato ogni giorno da uomini, donne, bambini, animali (capre e dromedari) e automobili (vecchie Mercedes sbrindellate o fuoristrada tipo pick-up). Talvolta sono, invece, alcune figure isolate provenienti dal nulla, a darci la misura della nostra solitudine. C’è anche un campetto di calcio con una porta un po’ sbilenca dove si incontrano tutti i ragazzi intorno a un pallone colorato, dove un dromedario cui hanno legato le zampe, aspetta che il padrone lo venga a liberare. La casa del sindaco Amara, rivolta verso il wadi, è certamente tra le più belle, punteggiata com’è di cespugli di bougainville, angoli panoramici e una fontana alimentata da un canale lungo l’intero perimetro del giardino. Percorrere al tramonto quest’ampia distesa di sabbia rinserrata tra due nuclei urbani della medesima sostanza pietrosa e il deserto di dune appena a qualche decina di metri, che ci attende, sempre identico a se stesso eppure così mutevole dall’inizio dei tempi, è come trovarsi di fronte ad un interrogativo universale: l’orizzontalità del deserto verso la pienezza del nulla oppure la verticalità urbana rappresentata dal minareto turrito della grande moschea, (modello di tutti i minareti mauritani del Sahara), dunque verso le stratificazioni del tempo della storia.
A Chinguetti esistono ben sedici biblioteche di cui la più importante è la Biblioteca Habott, dal nome di un erudito Sidi Ouid Mohamed Habott che tra queste mura fondò la biblioteca nel secolo XIX e successivamente arricchendola di nuove opere fino a raggiungere un numero di 1.400 esemplari. Situata nei pressi della grande moschea, al centro della medina, vi si accede attraverso una porticina di legno oltre la quale ci attende un signore alto e allampanato, che con aria severa ci invita a seguirlo all’interno di una specie di antro in terra battuta dove sono disposti alcuni armadi pieni zeppi di manoscritti antichi risalenti fino al Trecento e di opere a stampa fino al Sette-Ottocento, suddivisi per discipline: teologia, matematica e geometria, poesia e diritto. La città fu per molti secoli luogo di filosofi, poeti, scienziati e indovini, una sorta di enclave illuminata nel cuore del Sahara. Oggi ciò che vediamo è un luogo labirintico di pura meraviglia, quasi del tutto svuotato dei suoi abitanti (almeno per ciò che riguarda la città vecchia), divorato dal sole e dalle sabbie. L’uomo è ritto in piedi davanti a un tavolino sul quale ha disposto le opere più preziose affinché possiamo ammirarle in tutta la loro bellezza e fragilità. Il suo rispetto per quei libri è tale da sfiorarli e toccarli non a mani nude ma con dei guanti bianchi, come in un rituale che si è ripetuto molte volte con altri viaggiatori sensibili alle culture sommerse o con il gruppo di studiosi italiani dell’ex Centro di catalogazione e restauro di Villa Manin di Passariano che dieci anni or sono cominciarono un’ammirevole opera di restauro.
Per incontrare colui che nell’Adrar ha raccolto facendola propria l’esperienza del restauro dei manoscritti, abbiamo dovuto lasciare a malincuore Chinguetti, spostandoci verso oriente alla volta di Ouadane, un’altra importante città carovaniera, fondata nel 1142 da tre famiglie di notabili le cui tracce sono ancora visibili in ciò che resta delle loro abitazioni nell’antica città fortificata di Ouadane in rovina. Costruita interamente in pietra arenaria a secco su di uno sperone roccioso che fronteggia il deserto qua e là attraversato da piccole oasi, oggi appare come una sorta di Ercolano del Sahara. Visitarla sotto il sole pomeridiano in compagnia di Sidahmed Haba, giovane rampollo di una ricca famiglia berbera, seguendo polverosi e intricati sentieri, significa smarrirsi per un po’ di tempo nella solennità di un paesaggio in cui ogni elemento è integrato: il deserto la città l’uomo, in un solo calco che ha il colore della pietra arenaria di queste montagne. Finalmente riusciamo a incontrare Abdellahi Lebatt, un giovane che affronta ogni giorno il difficile compito di mettere scientificamente in salvo un patrimonio cartaceo inestimabile. Di lui colpisce l’espressione di grande serenità e di calma quando ci mostra l’intero procedimento del restauro conservativo, dall’arrivo del volume nel laboratorio fino alla consegna al proprietario. I suoi gesti rivelano sicurezza ma anche una profonda umiltà come quando dice che i libri sono la sua vita. Laddove tutt’intorno vi è semplicemente il deserto, in questo luogo polveroso e dimenticato di una periferia immaginaria, c’è un uomo che ha trovato nella parola scritta su antichi fogli il significato dell’esistenza. Ritorniamo a Chinguetti più per nostalgia che per necessità. I suoi silenzi e le sue figure come presenze lontane nel tempo, ma anche l’abbraccio dolce e mortale con il deserto ci stordiscono. Mentre il deserto con procedere lento e inesorabile ricopre la città, le sue strade, le porte delle case, e le termiti divorano i libri, tonnellate di spazzatura dalla città degli uomini portate dal vento si accumulano sulla soffice coltre desertica. Da lontano sembrano pulviscoli giunti da chissà dove, forse da un altro pianeta, ma basta chiudere gli occhi per ritrovarsi in un altrove necessario da cui a fatica riusciamo a separarci.
Da Avvenire. it