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Rapporto Toniolo: gli under23 sono più europeisti dei 30enni In evidenza

Sono oltre 9mila i giovani monitorati dal Rapporto 2017 dell’Istituto Toniolo su diversi temi legati alla formazione, al lavoro, all’inserimento sociale, all’innovazione e creatività, al rapporto con le generazioni precedenti. Lo studio sarà presentato oggi pomeriggio, 27 aprile, all’Università Cattolica di Milano.

La ricerca, di cui sono state fatte alcune anticipazioni al Sir, pone in relazione il legame tra titolo di studio e partecipazione ad attività di volontariato. «La disponibilità all’impegno per migliorare la comunità in cui si vive è elevata e trasversale, ma chi poi la trasforma in esperienza concreta è soprattutto chi ha un titolo di studio medio-alto. Da un lato – osserva il sociologo Rosina – questo conferma l’importanza dell’investimento sul capitale umano dell’istruzione formale che diventa stimolo anche per l’apprendimento informale e non formale e per il rafforzamento del capitale sociale (imparare a fare con gli altri)».

D’altro lato «evidenzia anche il rischio di chi ha percorsi formativi deboli che somma alle fragilità di partenza anche il rischio di entrare in una spirale negativa di scivolamento verso una condizione di passività ed esclusione sociale (la parte più problematica dei Neet)». I giovani tra i 21 e i 23 anni si dicono più propensi (56,0%), in caso di un ipotetico referendum per l’uscita dell’Italia dall’Ue, a restare nella “casa comune”; la volontà di rimanervi decresce nelle fasce d’età appena superiori: 24-26 anni (48,2%), 27-29 anni (40,8%), 30-32 anni (37,2%).

Un altro ambito di indagine del Rapporto realizzato dall’Istituto Toniolo, sotto la guida di Alessandro Rosina, riguarda la relazione tra le nuove generazioni e il web, giudicato «uno strumento diventato imprescindibile, con opportunità nuove ma anche insidie». Fra l’altro si legge: «È molto cresciuta nel dibattito pubblico la consapevolezza rispetto alle fake news e, in più in generale, alla dubbia attendibilità di molti contenuti veicolati sui social, condivisi spesso inconsapevolmente e fatti diventare virali». L’attenzione verso questo tema «è molto più forte tra chi ha titolo di studio medio-alto». I laureati sono quelli a cui è capitato di meno di condividere quella che poi è stata riconosciuta come una «bufala». La condivisione indiscriminata è decisamente rigettata da due laureati su tre ma da meno della metà di chi si è fermato alla scuola dell’obbligo.

Da Romasette.it

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