Francesco: «Ricostruire l’Europa malata di stanchezza» In evidenza
«Aiutiamo l’Europa di oggi, malata di stanchezza, a ritrovare il volto sempre giovane di Gesù e della sua sposa». Papa Francesco ha concluso con questo invito l’omelia della Messa celebrata ieri, 23 settembre, nella basilica di San Pietro con i partecipanti all’assemblea plenaria del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee), in occasione del 50° della sua istituzione. Fuggire dalla «tentazione di starcene comodi nelle nostre strutture, nelle nostre case e nelle nostre chiese, nelle sicurezze date dalle tradizioni, nell’appagamento di un certo consenso, mentre tutt’intorno i templi si svuotano e Gesù viene sempre più dimenticato», l’invito iniziale. Forte e chiaro il monito all’Europa: «Lasciare le convenienze dell’immediato per tornare alla visione lungimirante dei padri fondatori», che «non cercavano i consensi del momento, ma sognavano il futuro di tutti. Ciò vale pure per la Chiesa – la tesi del Papa -. Per renderla bella e ospitale, occorre guardare insieme all’avvenire, non restaurare il passato».
«Quante persone non hanno più fame e sete di Dio!», esclama Francesco dalla basilica di San Pietro: «Non perché siano cattive, no, ma perché manca chi faccia loro venire l’appetito della fede e riaccenda quella sete che c’è nel cuore dell’uomo: quella “concreata e perpetua sete” di cui parla nostro padre Dante e che la dittatura del consumismo, leggera ma soffocante, prova a estinguere. Tanti sono portati ad avvertire solo bisogni materiali, non la mancanza di Dio – l’analisi del Papa -. E noi di certo ce ne preoccupiamo, ma quanto ce ne occupiamo davvero? È facile giudicare chi non crede, è comodo elencare i motivi della secolarizzazione, del relativismo e di tanti altri “ismi”, ma in fondo è sterile. La Parola di Dio ci porta a riflettere su di noi: proviamo affetto e compassione per chi non ha avuto la gioia di incontrare Gesù oppure l’ha smarrita? Siamo tranquilli perché in fondo non ci manca nulla per vivere, oppure inquieti nel vedere tanti fratelli e sorelle lontani dalla gioia di Gesù? La mancanza di carità causa l’infelicità, perché solo l’amore sazia il cuore», incalza Francesco, mettendo in guardia dall’autoreferenzialità di una Chiesa che non sappia essere in uscita, perché ha perso «il sapore della gratuità». Questo «può essere anche il nostro problema – suggerisce il Papa -: concentrarsi sulle varie posizioni nella Chiesa, su dibattiti, agende e strategie, e perdere di vista il vero programma, quello del Vangelo: lo slancio della carità, l’ardore della gratuità. La via di uscita dai problemi e dalle chiusure è sempre quella del dono gratuito. Non ce n’è un’altra».
«Vorrei ringraziarvi per questo non facile lavoro di ricostruzione. Grazie per questi primi 50 anni a servizio della Chiesa e dell’Europa – l’omaggio al Ccee -. Siamo chiamati dal Signore a un’opera splendida, a lavorare perché la sua casa sia sempre più accogliente, perché ognuno possa entrarvi e abitarvi, perché la Chiesa abbia le porte aperte a tutti e nessuno abbia la tentazione di concentrarsi solo a guardare e cambiare le serrature», la consegna del Papa, che esorta a fare come «i grandi ricostruttori della fede del continente: hanno messo in gioco la loro piccolezza, fidandosi di Dio. Penso ai santi, come Martino, Francesco, Domenico, Pio che ricordiamo oggi; ai patroni come Benedetto, Cirillo e Metodio, Brigida, Caterina da Siena, Teresa Benedetta della Croce. Hanno cominciato da sé stessi, dal cambiare la propria vita accogliendo la grazia di Dio. Non si sono preoccupati dei tempi bui, delle avversità e di qualche divisione, che c’è sempre stata. Non hanno perso tempo a criticare e colpevolizzare. Hanno vissuto il Vangelo, senza badare alla rilevanza e alla politica. Così, con la forza mite dell’amore di Dio, hanno incarnato il suo stile di vicinanza, compassione e tenerezza, e hanno costruito monasteri, bonificato terre, ridato anima a persone e Paesi: nessun programma sociale, solo il Vangelo. Ogni ricostruzione avviene insieme, nel segno dell’unità. Con gli altri. Ci possono essere visioni diverse ma va sempre custodita l’unità. Perché, se custodiamo la grazia dell’insieme, il Signore costruisce anche lì dove non riusciamo».
Nella parte finale dell’omelia, Francesco delinea il volto della comunione ecclesiale. «È la nostra chiamata – spiega ai presenti -: essere Chiesa, un Corpo solo tra di noi. È la nostra vocazione, in quanto Pastori: radunare il gregge, non disperderlo e nemmeno preservarlo in bei recinti chiusi. Ricostruire significa farsi artigiani di comunione, tessitori di unità a ogni livello: non per strategia ma per Vangelo – puntualizza il Papa -. Tanti in Europa pensano che la fede sia qualcosa di già visto, che appartiene al passato», l’analisi di Francesco sotto forma di mea culpa: «Perché? Perché non hanno visto Gesù all’opera nelle loro vite. E spesso non lo hanno visto perché noi con le nostre vite non lo abbiamo mostrato abbastanza. Perché Dio si vede nei visi e nei gesti di uomini e donne trasformati dalla sua presenza. E se i cristiani, anziché irradiare la gioia contagiosa del Vangelo, ripropongono schemi religiosi logori, intellettualistici e moralistici, la gente non vede il Buon Pastore. Non riconosce Colui che, innamorato di ogni sua pecora, la chiama per nome e la cerca per mettersela in spalla. Non vede Colui di cui predichiamo l’incredibile Passione, proprio perché Egli ha una sola passione: l’uomo. Questo amore divino, misericordioso e sconvolgente, è la novità perenne del Vangelo». Di qui la necessità di «scelte sagge e audaci, fatte in nome della tenerezza folle con cui Cristo ci ha salvati»: perché il Vangelo, ha spiegato il Papa, «non ci chiede di dimostrare, ma di mostrare Dio, come hanno fatto i santi: non a parole, ma con la vita. Chiede preghiera e povertà, chiede creatività e gratuità».
Da Romasette.it