Il film di Scorsese «Silence» per i cristiani perseguitati In evidenza
Silenzio. Anzi, Silence. Sullo schermo della Filmoteca Vaticana il titolo del nuovo film di Martin Scorsese giunge all’improvviso, dopo alcuni rumori che sembrano emergere da una specie di nebbia. Quel titolo vi pone fine all’improvviso, quasi scolpendo nell’ambiente la mancanza di qualsiasi suono. Si capirà alla fine del film il perché, ma intanto il primo effetto – nella saletta dove sono riunite con il regista una sessantina di persone per una proiezione privata dentro le mura leonine della Città del Vaticano (la pellicola uscirà negli Stati Uniti in dicembre e in Italia il 12 gennaio) – è quello di moltiplicarlo, quel silenzio, di renderlo palpabile, quasi respirabile insieme all’aria, tanto è denso di significato e di emozioni. Silenzio fino alla fine. Fino e ben oltre l’ultima inquadratura, dopo quasi due ore e mezzo di proiezione, per tutta la durata dei titoli di coda, che scorrono per sette-otto minuti, scritte bianche su sfondo nero, semplici e asciutti come è lo stile di tutto il film del grande regista americano.
Solo allora, un attimo prima del riaccendersi delle luci, scatterà l’applauso: dapprima discreto, addirittura un po’ incerto. Ma non perché il lavoro non sia piaciuto, quanto perché persino nell’esternazione del gradimento la piccola ma qualificata platea ha come il timore di ferirlo, quel silenzio. E allora l’ovazione finale cresce dagli iniziali toni morbidi a un sempre più convinto battimano con tanto di standing ovation e saluti finali al regista. Gli si avvicina sorridente tra i primi il premio Oscar Paolo Sorrentino (è già la sua presenza in Vaticano, dopo The young Pope, è una notizia). Vanno a congratularsi con lui Vittorio Cecchi Gori e il direttore dell’“Osservatore Romano”, Giovanni Maria Vian. C’è anche il direttore di Tv2000, Paolo Ruffini (qui proponiamo stralcio dell'intervista televisiva).
Molti sono commossi, «un film spiritualmente molto intenso», confida qualcuno. E infatti, al di là del giudizio estetico che lasciamo a chi di dovere, una cosa va detta subito dell’ultimo lavoro cinematografico dell’autore di Taxi driver. Scorsese ha fatto un film coraggioso, controcorrente rispetto alle esigenze di botteghino e molto attuale per le tematiche che lo attraversano. Silence non strizza per niente l’occhio allo spettatore, ma lo tiene inchiodato alla poltrona con il racconto nudo e crudo (ma mai splatter) di una delle tante negazioni della libertà religiosa delle quali la storia del cristianesimo è costellata lungo i secoli. Qui siamo nel ’600 e la vicenda è tratta da un romanzo pubblicato nel 1966 dallo scrittore giapponese Shusaku Endo, che racconta le persecuzioni subite nel Paese del Sol Levante dai cristiani e dai gesuiti dell’epoca.
Papa Francesco, che ha ricevuto in udienza l’artista con la moglie Helen e la figlia Caterina, ha detto di aver letto il libro, di essere contento che Scorsese ne abbia tratto un film e di sperare che esso porti frutto e sia di aiuto a chi soffre per la fede. Un’udienza che ha colpito il regista e la sua famiglia, come egli stesso ha sottolineato introducendo la proiezione della pellicola nella Fimoteca Vaticana, dopo il saluto iniziale di monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione. Si diceva della grande attualità del film. La resa, su questo piano, è notevole, anche se la vicenda è vecchia di quattro secoli. Silence sembra essere, infatti, un “prodotto” del Giubileo della misericordia. «Quante volte devo perdonare il mio fratello che sbaglia?». Padre Rodrigues, uno dei gesuiti del film, pare aver ascoltato e fatto proprie le raccomandazioni del Vangelo più volte ribadite da papa Francesco («in confessionale tanta misericordia») e perdona senza sosta quel personaggio che torna a confessare sempre lo stesso terribile peccato: l’abiura.
Attualità anche dal punto di vista delle persecuzioni. Mentre sullo schermo scorrono le immagini delle terribili torture fisiche e psicologiche inferte con rara ferocia e sadismo ai cristiani giapponesi del ’600, non è possibile non pensare ai cristiani di oggi e di ieri perseguitati a motivo della fede: dal Daesh all’Albania comunista, dalla Corea dell’800 all’ex impero sovietico, dai lager nazisti all’estremo Oriente che oltre al Giappone del XVII secolo annovera tra i casi più eclatanti la Cina, la Nord Corea, il Vietnam e tutto il Sudest asiatico del ’900. Inquadratura dopo inquadratura Scorsese ci fa scendere così, senza retorica, nell’inferno della negazione programmatica di Dio. E il suo sguardo di celluloide individua proprio nel peccatore che impetra con tutte le sue forze il perdono, il filo d’Arianna che da quell’inferno aiuta a uscire anche chi vi si è smarrito. Così il supposto silenzio di Dio di fronte ai carnefici (che dà il titolo al film) alla fine si rivelerà gravido della sua voce. Anzi sarà la condizione imprescindibile per ascoltarla.
Da Avvenire.it